An Elephant Sitting Still – Scheda Film


Titolo: An Elephant Sitting Still

Anno: 2017

Regia: Bo Hu

Paese: Cina


Trama: Sotto il cielo cupo di una piccola città nel nord della Cina, si intrecciano diverse vite. Per proteggere il suo amico, il sedicenne Wei Bu spinge il bullo della scuola dalle scale mandandolo in ospedale. Temendo le conseguenze di quanto accaduto, Wei fugge via e a lui si uniscono il vicino Wang Jin e la compagna di classe Huang Ling, tormentata dalla relazione sessuale che ha con il direttore della scuola. Mentre i tre cercano di far perdere le loro tracce, il fratello del bullo e un amico hooligan danno loro la caccia.



Recensione:

“La vita non migliorerà, è tutta una questione di agonia. Questa agonia ha avuto origine con la tua nascita. Credi che trasferirti in un altro luogo cambierà il tuo fato? È una stronzata.”

Compito non facile parlarvi di questo film, ci troviamo dinnanzi ad un’opera magistrale, unica e purtroppo destinata a rimanere tale, data la prematura dipartita del regista, morto suicida poco dopo aver finito il montaggio. La durata del film suggerisce che l’intento non sia quello di accontentare ogni palato, premessa che si può applicare per tutto il cinema d’autore, ma accontentare esclusivamente, appunto, l’autore stesso. Quattro ore in cui ci viene mostrata una Cina, o più in generale un’esistenza umana, priva di direzione o punti di riferimento, completamente smarrita. L’unica speranza che sembrano avere i personaggi è l’andare a trovare un leggendario elefante, che pare trovarsi a Manzhouli, in Manciuria, sul quale si dice che se ne stia tutto il giorno seduto, immobile, ignorando tutto ciò che lo circonda.

Quattro ore per quattro storie. Un obiettivo comune e 24 ore. Queste sono le premesse necessarie per comprendere una tanto semplice, quanto intricata trama. I personaggi principali sono un anziano che sta per essere spedito in una casa di riposo, un ragazzo di nome Wei Bu che causa la morte accidentale di un bullo che lo tormentava e una ragazza, sua compagna di classe, che ha una relazione clandestina con il vice-preside della scuola.
Dire che la regia è sublime è un eufemismo, non ci sono parole per descrivervi la cura che ha avuto Hu Bo per ogni singolo dettaglio. La maggior parte delle scene sono girate in piano sequenza, con una camera a mano che ci proietta all’interno dell’azione e segue ogni movimento dell’attore, come fosse la sua ombra. I filtri freddi accentuano l’atmosfera deprimente e l’audio è volutamente non modificato, così da rendere ancora più credibile ogni sussurro e grido.

L’elefante del titolo non viene mostrato, ne sentiamo il verso nel finale, ma probabilmente simboleggia quell’ultima speranza alla quale aggrapparsi per continuare ad andare avanti, alcuni lo chiamano Dio, altri Buddha, e la leggenda e il luogo geografico sembrano chiaramente riferirsi a quest’ultimo mentre medita. Fuggire però non cambia le cose, una fede cieca neanche, soltanto la morte, come a quanto pare dimostra lui stesso a soli 29 anni. Un pessimismo cosmico definitivo, un film che tratta le tematiche di Gaspar Noé, l’incompatibilità collettiva e la solitudine interiore, con uno stile che ricorda Bela Tarr, regista a cui sicuramente si è ispirato.

Concludo dicendo che si può parlare di un vero e proprio testamento, quello che ci lascia il regista, una sua visione della vita e di come poterla idealmente sopportare ignorandola come un bambino distratto, come cantavano Rancore e Daniele Silvestri a Sanremo. Hu Bo evidentemente non ci è riuscito, definendola una stronzata, e ha trovato un’altra strada per sfuggire dalla sua prigionia mentale, da questo cupo e grigio mondo in cui siamo costretti a vivere. Resta il fatto che sia riuscito a ritagliarsi un posto di meritato rispetto nella storia del cinema e ha dimostra che l’arte è il miglior modo per essere ricordati e diventare realmente immortali.

Pubblicato da Jeff

Creatore del sito, amante del genere horror da numerosi anni, considero il genere molto più esteso rispetto a fantasmi e budella, come potrete notare nei film che posto. Guardo di tutto ma amo in particolar modo il cinema indipendente ed underground. Ho un feticismo estremo per il trash, soprattutto per quello giapponese.

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